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Marlboro e Ferrari:
quando una bionda manda in corto il Circuito.

Sarò onesta: le volte in cui mi sono soffermata a leggere un articolo della sezione sportiva del quotidiano si contano sulle dita di una mano, chiusa. Lo scorso 23 maggio, però, una notizia su tutte ha vinto la mia reticenza.

Alla vigilia della gara che decreta il campione di Formula 1, Montecarlo si è ritrovata al centro di una (inaspettata) diatriba mediatica. Tutto a causa della nuova campagna di Philip Morris che ritrae il primo pilota della casa automobilistica, Sebastian Vettel, a bordo del Cavallino affiancato da un pacchetto di sigarette Marlboro rosse.

Red is Inspiration

Red is Pride

Red is Action

Sono alcune delle varianti dello slogan promosso dalla Philips Morris, insieme all’esortazione: Be Marlboro.

Le relazioni pericolose

Da più parti la pubblicità è stata giudicata inammissibile a causa dell’associazione “pericolosa” tra uno sportivo del calibro di Vettel e la bionda più famosa (e fumosa) dell’industria del tabacco. Pericolosa, proprio in virtù della pessima influenza mediatica che l’abbinamento atleta mondiale-pacchetto di sigarette può esercitare soprattutto sui ragazzi tra i 12 e i 15 anni, “ovvero i soggetti più esposti al pericolo del fumo” (così Umberto Tirelli, Primario di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori -http://www.umbertotirelli.it/index.php). Il tutto aggravato da un Vettel che, per nulla contrariato dall’accaduto, dichiara “I think everyone already knows who our biggest sponsor is.”

Tutti lo sanno ma nessuno lo può dire poichè dal 2008 è in vigore in Europa una legge che vieta la pubblicità del tabacco sulle automobili e attorno al circuito. In Europa, ma non a Montecarlo. Dove, infatti, si torna a parlare di sigarette e dell’opportunità della loro comunicazione adv.

Non intendo sminuire l’attenzione, giusta, rivolta a certa comunicazione nè tantomeno entrare nel merito di questioni legate alla corretta divulgazione dei danni provocati dal fumo. Però non posso fare a meno di chiedermi il perchè di una polemica che non solo si concentra su un unico aspetto dei tanti -pure contradditori-della vicenda. Ma che, soprattutto, rischia di esprimersi in modo gratuito e persino controproducente.

Red is (not) bad

Philip Morris produce sigarette dal 1847 e, fin dai suoi primi anni di vita, promuove inevitabilmente l’acquisto del suo prodotto. Dalla Marlboro for Ladies, al Marlboro County fino a Vettel, Philip Morris ha adeguato la sua comunicazione agli stili e ai dettami del tempo. Dal 1973 è anche sponsor della Ferrari e, rispettando regole e divieti, si limita a presentare il suo prodotto solo negli spazi e nei modi che le sono consentiti: le pareti di Montecarlo.

Nel farlo, abbandonato il modello del macho fumatore, propone invece un’associazione cromatica e sostanziale (particolarmente riuscita la versione Red is Inspiration con il gioco di parole, irripetibile in italiano, di Inspiration come aspirazione e ispirazione) riportando in calce all’affissione stessa, ben visibile, l’avviso obbligatorio: Il fumo nuoce gravemente alla salute.

 

E allora, mi domando e dico, dove sta l’errore? E perchè un pacchetto di sigarette basta a rendere pericolosa, agli occhi di teenagers sprovveduti, l’immagine di uno sportivo che corre a 300km orari ogni domenica dall’età di 20 anni? Dov’è il confine tra cattiva influenza e strumentalizzazione gratuita?

Any publicity is good publicity?

Probabilmente, sono considerazioni che ciascuno di noi fa nel proprio piccolo e non ci sono leggi universali in grado di risolvere le questioni aperte. Tuttavia, se è vero il principio per cui, bene o male, l’importante è che se ne parli, c’è da chiedersi quanto sia stato efficace tutto questo parlare intorno all’argomento.

Nel rispondersi, valga per tutti l’invito all’atteggiamento d’esordio: siamo onesti.

Giulia Petruzzelli

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